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Victoria Haf: Tra Arte e Magia Agreste

Ciao Victoria, potresti condividere con noi un po’ della tua storia? Siamo curiosi di sapere come una messicana come te sia finita a vivere in Calabria.

Sono nata e cresciuta a Città del Messico, precisamente in un sobborgo chiamato Coyoacán, noto per la Casa Azul di Frida Kahlo. Dopo aver studiato all’Accademia delle Belle Arti e aver lavorato come grafica pubblicitaria, ho sentito il bisogno di viaggiare e ho lasciato il lavoro per andare a New York e poi in Europa, a Barcellona, dove ho incontrato casualmente il mio futuro marito, un calabrese.

Dopo alcuni mesi, quando dovevo tornare in Messico, mi ha chiesto di fermarmi a Barcellona e di vivere con lui. Ho seguito il mio istinto e ho accettato la sua proposta, ma ho vissuto una crisi identitaria poiché mi sentivo sola in un ambiente che non mi apparteneva completamente, nonostante parlassi la stessa lingua.

Dopo due anni in Spagna, ho deciso di tornare in Messico, ma ho presto capito che non mi sentivo più a casa neanche lì. Così, ho proposto a mio marito di trasferirci in Calabria, dove vivevano i suoi genitori, e dove potevamo godere di una casa e di terreni da coltivare.
Ricordo che l’impatto con la Calabria fu un’esperienza rivoluzionaria avendo io sempre vissuto in un contesto molto urbano e metropolitano. Rappresentava l’opposto di ciò che avevo sempre vissuto.
Sembra assurdo ma vedere gli animali per strada fu per me un’evento unico. Ho impresso nella mente l’incanto e la meraviglia quando vidi per la prima volta un maiale. Fu un’apparizione.

Oggi vivo con la mia famiglia a Motta Filocastro, una piccola frazione di Limbadi con una vista mozzafiato e un forte senso di comunità in cui si portano avanti le tradizioni della Calabria e si rinnovano con nuove forme. Questo luogo è diventato una grande fonte d’ispirazione per me.
Anche se all’inizio ho vissuto uno shock culturale, ho imparato a conoscere e ad amare la Calabria e la sua gente. Ora vivo qui felicemente da sette anni, e questa è diventata la mia casa.

La tua vita è un viaggio avventuroso, costellato di esperienze contrastanti che ti hanno portato a una destinazione inaspettata. Cosa rappresenta per te oggi la Calabria?

Per me, la Calabria rappresenta una delle tappe fondamentali del mio viaggio. Un luogo complesso e affascinante allo stesso tempo.
Ricordo ancora la prima volta che ho visitato questa terra: mi sono subito innamorata delle campagne, degli aranceti, di quel profumo di agrumi che pervade l’aria. Ma è stato solo con il tempo che ho imparato a conoscerla veramente, ad apprezzarne anche le parti più difficili, le ferite, le ombre. Il mio amore verso questa terrà si è trasformato in un amore più maturo, più profondo.

La Calabria è una regione antichissima, con una storia che si legge anche nelle pietre e nelle conchiglie che si trovano disseminate ovunque. È una terra che ti parla, che ti racconta i suoi segreti e le sue meraviglie, ma anche le sue sofferenze e le sue difficoltà. Per me, la relazione con la Calabria è diventata sempre più profonda e complessa, una continua scoperta di luci e ombre che mi ispirano e mi arricchiscono. Non è un amore facile, ma è un amore autentico e appassionato, che mi lega a questa terra in modo indissolubile.

Come hai conosciuto il progetto The Calabreser?

Durante una mia passeggiata a Nicotera, mentre stavo gustando un delizioso gelato, sono rimasta affascinata da una locandina del Festival dell’Ospitalità. Il suo autore, Giuseppe Talarico, aveva creato un’immagine mozzafiato: un profilo di un ragazzo con lo sfondo di Nicotera e il suo mare.Era un disegno personalizzato e non la solita grafica con immagini standard. Ne sono rimasta talmente colpita che ho deciso di seguirlo su Instagram. È così che ho scoperto il progetto The Calabreser, che rappresenta una forma ludica di conoscenza sulla cultura calabrese.

Grazie a questo progetto ho imparato molte cose, come ad esempio le maschere di Seminara e la storia di Re Pepe, che mi hanno fatto apprezzare ancora di più il folklore di questa terra. Giuseppe mi ha poi chiesto di collaborare al progetto, e insieme abbiamo deciso di iniziare con l’illustrazione di Cecilia Faragò, un personaggio che conoscevo poco ma che mi ha affascinato per la sua storia e il suo ruolo di ultima strega in Calabria e come simbolo anche di una lotta femminile.

Qual è la tua esperienza dal punto di vista lavorativo in Calabria? Hai avuto difficoltà, hai trovato opportunità?

So che la mia risposta è inusuale. Come dicevo, a Barcellona ho vissuto un momento difficile della mia vita, traumatica quasi drammatica, che ha rappresentato per me una morte simbolica. Lì ho perso tante certezze e tanti pezzi della mia identità come messicana e professionalmente, non essendo mai riuscita a lavorare nel campo del graphic design. Questa sofferenza mi ha portato a riflettere a un livello più profondo comprendendo di essere una persona e di avere un valore a prescindere dalle etichette.

Questo lungo percorso di consapevolezza mi ha portato a decidere di ripartire da zero e accettare le sfide e i sacrifici che mi attendevano in Calabria. Inizialmente, avevo immaginato una vita di campagna idealistica e avevo accettato il fatto che probabilmente non avrei lavorato nell’ambito artistico.

Ma invece, ho trovato l’opportunità di esplorare una forma diversa di arte, inizialmente legata alla sfera religiosa e alla devozione. Questo mi ha permesso di unire le due parti di me: la grafica pubblicitaria digitale e moderna e la forma d’arte più manuale e densa di significato.
Ho imparato a comprendere la forza dell’immagine e a esplorare simboli antichi e universali, portando il mio approccio artistico a un livello più profondo. In sintesi, la Calabria mi ha dato una profondità che non avevo prima, e sono grata per l’esperienza e la crescita che ho vissuto qui.

Come nasce la tua passione per le illustrazioni?

La mia passione per le illustrazioni è nata fin da piccola in famiglia, grazie all’influenza dei miei genitori, architetti e artisti. Mia madre disegnava e insegnava disegno a casa, e mi ha trasmesso la passione per i colori e per l’arte. Nonostante la sua reticenza, sono sempre stata testarda e determinata a seguire il mio interesse per le illustrazioni.

La mia mentalità latinoamericana mi ha spinto a sperimentare e a esplorare diverse forme artistiche, a differenza di un approccio più specialistico comune in Italia. Fin da bambina, ho sempre sentito che le illustrazioni fossero una forma di espressione grafica che faceva parte di me, e ho continuato a coltivare questa passione nel corso degli anni.

Come definiresti il tuo stile illustrativo?

Il mio stile illustrativo non è facilmente definibile in quanto varia in base al messaggio che voglio comunicare attraverso l’arte. Nel creare il mazzo degli oracoli, per esempio, ho scelto uno stile più antico.Mentre per Cecilia ha optato per uno stile più realistico con volti umani più rappresentativi. Al momento, sto ancora esplorando il mio stile e la mia espressione artistica, ma c’è un elemento comune che unisce le mie opere. Sono sempre in una fase di esplorazione creativa e alla ricerca di nuove ispirazioni per trovare nuovi modi di esprimermi attraverso l’arte.

Quali fonti di ispirazione e modelli di riferimento utilizzi?

Partendo dalla domanda precedente, un professore mi ha consigliato di non cercare il mio stile ma di sperimentare e scoprirlo naturalmente.
La mia scoperta nasce dall’ispirarmi attraverso la natura e i luoghi che vivo. Ad esempio, il mio schema di colori è molto influenzato dalla Calabria, dai colori degli ulivi e dei tramonti. Le forme grafiche che uso sono ispirate alla natura e alle persone della Calabria. Penso che sia importante radicare la tua arte nella terra che vivi.

Quando non sono ispirata, mi piace fare schizzi botanici nella natura per esplorare i colori e i movimenti. Per me, la rappresentazione grafica è un modo per portare un po’ del luogo con me e mi piace documentare il mio lavoro.

Un’ultima domanda. Hai notato dei punti di contatto tra la cultura della Calabria e del Messico, in particolare nei simboli e nelle tradizioni?

È interessante notare come le culture e le tradizioni di diverse parti del mondo possano avere punti di contatto e condivisione. In effetti, ci sono molte somiglianze tra i simboli e le tradizioni del Messico e della Calabria. Ad esempio, la pignatta utilizzata per la suriaca in Calabria ha molte somiglianze con la piñata utilizzata in Messico come parte delle celebrazioni natalizie. Entrambi hanno radici antiche nella cultura dei rispettivi paesi.

Inoltre, ci sono similitudini nella toponomastica di San Giovanni in Fiore in Calabria e Puebla in Messico, che suggeriscono una possibile influenza culturale italiana nella toponomastica messicana. Ad esempio, Puebla ha toponimi come Calvario, Arco de Ecce Homo, Monte de los Olivos a oriente e Boca del Infierno a ponente, che sono quasi identici nella posizione e nella denominazione a quelli di San Giovanni in Fiore, fondata da Gioacchino da Fiore, e anch’essa situata nei pressi di una grande montagna e di due corsi d’acqua.
Questi esempi dimostrano come la cultura può fungere da ponte tra i paesi e come le tradizioni possono essere condivise e influenzarsi reciprocamente.

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